Premier tra dubbi e voglia di ripresa

Un mese e mezzo per terminare la stagione, trasformando la Premier League in una sorta di Mondiale per club disputato in pochi stadi rigorosamente a porte chiuse e con le 20 squadre isolate in ritiri forzati. Se negli ultimi giorni sempre più club della massima divisione inglese hanno espresso dubbi sull’opportunità di riprendere a giocare, la volontà della maggioranza – tra dirigenti, giocatori e allenatori – resta comunque quella di disputare le rimanenti 92 partite. Anche a costo di stravolgere non solo il calendario, ma anche usi e abitudini del calcio britannico. E sottoponendo i club ad un vero e proprio tour de force, tra giugno e luglio, pur di salvare la stagione e, con essa, gli introiti commerciali e (soprattutto) televisivi.

L’idea è di giocare ogni tre giorni, così da completare il programma al massimo in sei settimane. Adottando nel contempo una serie di misure restrittive per minimizzare il rischio di propagazione del coronavirus. A cominciare dalla sede delle partite: non più gli stadi di ciascuna società, ma un numero ristretto di impianti, geograficamente vicini, dove si giocherebbe di fatto senza soluzione di continuità, prevedendo anche più partite al giorno. Ovviamente senza pubblico: tutti gli incontri verrebbero trasmessi in diretta dalle pay-tv, contrariamente a quanto accade normalmente.

Misure eccezionali per proteggere le squadre, così come tutti gli addetti ai lavori: giocatori, tecnici e dirigenti trascorrerebbero le ultime settimane del campionato isolati in strutture riservate, lontani dalle famiglie, costantemente monitorati dai rispettivi staff medici. Un isolamento prolungato – anche per arbitri, cameraman, responsabili della trasmissione tv – che impedirebbe ogni
contatto con il resto della società.  Al momento, per decisione della Federcalcio inglese, tutti i campionati sono sospesi fino al 30 aprile, ma difficilmente a maggio si potrà tornare a giocare.

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